Ringrazio anzitutto il gentile visitatore per i lusinghieri apprezzamenti espressi sui contenuti di questo sito.
La scoperta della fusione nucleare fredda si deve ai chimici statunitensi Martin Fleischmann e B. Stanley Pons, dell’Università di Salt Lake City (Utah), che nell’ambito di una ricerca concernente l’accumulo di idrogeno in metalli e leghe, osservarono che l’energia elettrica assorbita, nell’arco di alcuni giorni, da una cella elettrolitica con il catodo di palladio, l’anodo di platino e l’elettrolita costituito da una soluzione di solfato di litio (Li2SO4) in acqua pesante (D2O), era sensibilmente inferiore al calore prodotto dalla cella e misurato mediante un calorimetro a flusso continuo.
La cella era costituita da un vaso di Dewar (un thermos) dotato di un elettrodo negativo (catodo) di palladio (Pa) disposto sul fondo e da un elettrodo positivo (anodo), costituito da un filo di platino avvolto ad elica ed a contatto con la parete interna . Il passaggio di una corrente elettrica continua di 0,4 A causava per elettrolisi lo sviluppo di deuterio (D
all’emissione di un neutrone (n) in base alla reazione nucleare: D + D -> He3 + n + Q.
Si tratta di una delle reazioni di fusione termonucleare che all’interno del Sole, alla temperatura di 20 milioni di C° ,bruciano idrogeno convertendolo in elio e liberando energia in base alla legge einsteiniana E = mc2 della conversione della massa in energia. La massa che si converte in energia corrisponde alla differenza (difetto di massa) tra la massa totale dei due nuclei di deuterio (D, deutoni) e la somma delle masse del nucleo di elio-3 e del neutrone.
La differenza consiste nel fatto che, mentre nel Sole la reazione ha luogo grazie all’elevatissima temperatura, alla quale corrispondono grandissime velocità di agitazione termica e quindi grandissime energie cinetiche che riescono a vincere le intensissime forze elettriche repulsive tra due deutoni (carichi positivamente) che si urtano frontalmente, nel reticolo cristallino del palladio
ed in quello di alcuni altri metalli e leghe (indiviuduati in esperimenti successivi ), la reazione
avviene a bassa temperatura (fusione fredda , cold fusion – CF).
Anche se, a tutt’oggi, non esiste una teoria che possa spiegare in modo soddisfacente tutte le modalità con cui si osserva il fenomeno, si pensa tuttavia che siano determinanti le forze elettriche
all’interno del reticolo cristallino, che costringerebbero due deutoni ad avvicinarsi a tal punto da subire la fusione nucleare a bassa temperatura. Per quanto riguarda l’effetto termico anomalo, si sono misurati incrementi di temperatura da 38,5 °C a 40 C° nell’arco di alcuni giorni (5 o 6), mentre
nello stesso intervallo di tempo la tensione V ai capi della cella elettrolitica, alimentata a corrente
costante, è diminuita di alcuni decimi di volt (da 5 V a 4,8 V), il che significa che mentre l’energia
elettrica assorbita dalla cella diminuiva, nello stesso tempo aumentavano la temperatura ed il calore
rilasciato dalla reazione di fusione nucleare.
Esperimenti analoghi a quello di Fleischmann e Pons furono eseguiti in tante università mondiali,
subito dopo l’annuncio della scoperta, ma con esiti non sempre positivi e concordi, a causa della notevole delicatezza delle misure che possono essere influenzate da fattori ambientali e sperimentali di varia natura , data l’esiguità dell’energia liberata e la scarsa attendibilità delle misure relative soprattutto al numero di neutroni emessi. In Italia gli esperimenti furono eseguiti con successo da parecchi fisici , quali Giuliano Preparata , morto qualche anno fa, e Giuliano del Giudice a Milano, ed inoltre Giuliano Mengoli a Padova, che eseguì gli esperimenti con celle elettrolitiche alla temperatura di 95 C°.
Tutti gli esperimenti eseguiti non furono purtroppo validati dall’uso di un protocollo di ricerca comune ,definito dalla comunità internazionale dei fisici, per cui ben presto i due chimici scopritori dell’effetto che porta i loro nomi, furono oggetto di una campagna denigratoria che fece perdere loro in breve tempo gran parte della credibilità inizialmente ottenuta. Pertanto le ricerche sulla fusione fredda furono spesso boicottate ed infine abbandonate. Perchè ? Forse per mantenere intatti gli ingentissimi finanziamenti assorbiti in tutto il mondo, dal lontano 1954 a tutt’oggi, dagli esperimenti di fusione termonucleare (calda) condotti prima esclusivamente con macchine a plasma a confinamento magnetico (Tokamak) e successivamente con fasci laser (implosione laser di pastiglie di trizio) ?
Ora, a distanza di 15 anni, pare che ci sia stato un ripensamento globale: si torna in molte università a riconsiderare l’effetto Fleischmann-Pons, anche per iniziativa del Dipartimento USA per l’energia ed a riesaminare tutta la mole di dati accumulati a partire dal 1989.
E ritorniamo all’umiltà! Io sono del parere che non si debba mai ricorrere, a maggior ragione mai in ambito scientifico, all’ostracismo nei confronti di uno scienziato e di una sua teoria. E’ sempre il metodo sperimentale galileiano il metro universale di giudizio della ricerca scientifica. Chi vivrà vedrà ! Il tempo è un gran medico. Si pensi inoltre al celebre fisico indiano Chandrasekar, alla cui memoria è stata dedicata una missione di astrofisica spaziale (satellite Chandra).
Quando Chandrasekar, brillante fisico diciannovenne, comunicò al suo maestro, Sir Arthur Eddington, i risultati di una sua ricerca teorica sui collassi delle stelle ordinarie in stelle di neutroni,
Eddington lo derise, denigrando con superbia la sua ricerca. Oggi, a distanza di oltre 70 anni, il ricordo di Chandrasekar ha oscurato quello di Eddington nell’ambito della comunità scientifica internazionale, anche se Eddington nel 1919 divenne famoso per aver fornito la prima prova inconfutabile della validità della teoria della relatività generale di Einstein, quando organizzò una
spedizione scientifica in Africa per osservare durante un’eclissi solare la deviazione dei raggi luminosi di una stella per effetto della gravità. E’ proprio il caso di dire che l’allievo ha superato il maestro !
Per quanto concerne lo sfruttamento pratico dell’effetto Fleishmann-Pons, si pensi, per analogia,
allo sviluppo della tecnologia elettrica: Nel 1800 la pila a colonna che Volta mostrò a Napoleone
erogava una debole intensità di corrente (qualche frazione di ampere) e dopo qualche ora di funzionamento non era più in grado di funzionare a causa di fenomeni elettrochimici parassiti (polarizzazione degli elettrodi) che ne abbassavano notevolmente la tensione. Eppure, negli ultimi decenni del XIX secolo furono realizzate le prime centrali elettriche a corrente continua, basate
sull’anello di Pacinotti, ed in grado di generare tensioni di centinaia o migliaia di volt e correnti di decine di migliaia di ampere. E’ sempre quanto mai valido il motto degli Accademici del Cimento:”Provando e riprovando”.
Riferimenti web:
www.infinite-energy.com
www.infinite-energy.com/resources/pressreleasedoe.html
www.lenr-canr.org
www.lenr-canr.org/Students-Guide.htm
Poichè in una caffettiera di tipo “moka express” la temperatura di ebollizione dell’acqua, man mano che si sviluppa il vapore, tende ad aumentare al di sopra dei 100 °C (temperatura di ebollizione alla pressione di 1 atm = 760 mm Hg) per effetto dell’aumento di pressione, il passaggio dell’acqua attraverso la polvere di caffè avviene, mediamente, ad una temperatura intorno ai 105 °C fino a quando non sia quasi completo lo svuotamento della caldaietta, nella quale rimane una piccola
quantità d’acqua alla temperatura di 105 °C.
Considerato che, anche dopo aver spento il gas, tale piccola quantità d’acqua continua ad evaporare ancora per alcuni secondi a causa del calore accumulato dal metallo, si comprende come, per effetto della diminuzione di pressione che si verifica in conseguenza dell’aumento di volume a disposizione del vapore durante la fase di svuotamento, la temperatura di ebollizione si abbassi bruscamente a 100 °C costringendo l’acqua residua, che si trova inizialmente a 105 °C, ad evaporare in modo turbolento nel portarsi alla nuova temperatura di ebollizione, dando luogo così ad un’ulteriore fuoriuscita di vapore dal beccuccio.
L’esperienza di Michelson e Morley (1879), ideata per mettere in evidenza il moto della Terra rispetto all’“etere cosmico”, ipotetico mezzo elastico imponderabile, che i fisici ritenevano dovesse riempire tutto lo spazio per consentire la propagazione delle onde elettromagnetiche, si basa su un interferometro costituito da due aste aventi le lunghezze L1 ed L2, perpendicolari tra loro e dotate
nel punto centrale di uno specchio semitrasparente (semiargentato) S , disposto a 45° .
L1, parallela all’asse X, è dotata agli estremi di una sorgente luminosa S (con proiettore) e di uno specchio Sp2, mentre L2, parallela all’asse Y, è dotata di uno specchio Sp1 e di un oculare O.
Se con Vt = 30 km/sec si indica la velocità orbitale della Terra nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole, si è portati a ritenere, in base al principio galileiano di composizione delle velocità, che la velocità con cui si propaga un raggio di luce rispetto al sistema di riferimento del laboratorio sia
Vd = c – Vt nel verso dalla sorgente luminosa S allo specchio Sp2 e Vs = c + Vt per un raggio di luce che si propaghi da Sp2 verso S.
Se si considera che il raggio luminoso 1, dopo essere stato riflesso dagli specchi S ed Sp1, entra nell’oculare O all’istante t1 = L1/(2Vd) + L2/(2c) + L2/c e che il raggio luminoso 2, dopo essersi propagato attraverso lo specchio S ed essere stato riflesso dagli specchi Sp2 ed S, entra nell’oculare all’istante t2 = L1/Vd + L1/(2Vs) + L2/(2c), si deduce che il ritardo
tra i due raggi debba essere t2 - t1 = L1/(2Vd) + L1/(2Vs) – L2/c e che di conseguenza, esistendo una differenza di fase tra le onde luminose associate ai due raggi, si debbano osservare attraverso l’oculare O delle frange d’interferenza (alternanze di righe luminose ed oscure). Ebbene, Michelson e Morley , ottenute le frange d’interferenza, per evidenziare se la velocità della luce dipendesse dalla direzione di propagazione rispetto alla velocità orbitale terrestre, girarono di 90° l’ interferometro, orientando l’asse X perpendicolarmente alla velocità orbitale Vt e l’asse Y parallelamente ad essa. Con questa operazione, risultando scambiati gli orientamenti delle aste L1 ed L2 rispetto alla retta tangente all’orbita terrestre, si sarebbe dovuto produrre un ritardo sensibilmente diverso tra i due raggi, e pertanto si sarebbe dovuto osservare uno spostamento delle frange. Invece, dopo una serie di accuratissime osservazioni, effettuate in diverse ore del giorno ed in diversi periodi dell’anno, quindi con diversi orientamenti degli assi dell’interferometro rispetto alla velocità orbitale Vt, non notarono alcuno spostamento delle frange,il che dimostrò l’indipendenza della velocità della luce dalla direzione di propagazione (principio dell’isotropia della propagazione luminosa). Da questo risultato Michelson e Morley dedussero la coincidenza di Vd e Vs con la velocità c. Infatti, considerato che la velocità Vd della luce misurata dall’osservatore terrestre è data dalla differenza tra la velocità c della luce rispetto al sistema di riferimento dell’etere (riferimento che si riteneva fosse assoluto) e la velocità Vt della Terra rispetto al sistema assoluto, e che invece Vs (velocità di propagazione della luce nel verso opposto a quello della velocità orbitale) è data dalla somma di c e di Vt, si deduce che è nulla la velocità Vt della Terra rispetto all’etere, il che equivale a dire che la Terra è solidale al sistema di riferimento dell’etere (trascinamento dell’etere).
Visto l'esito negativo dell'esperienza di Michelson e Morley e di alcune altre esperienze analoghe, relative a fenomeni elettromagnetici che avrebbero dovuto evidenziare il moto della Terra rispetto all'etere,i fisici si convinsero definitivamente dell'inconsistenza dell'ipotesi dell'etere soltanto dopo la formulazione della teoria della relatività speciale (1905), nell'ambito della quale Einstein negò l'esistenza dell'etere sostituendolo con lo spazio vuoto, attraverso il quale le onde elettromagnetiche si propagano senza bisogno di alcun substrato.
Da notare inoltre che non bisogna confondere l'esperienza di Michelson e Morley con l'esperienza di Foucault per la misura della velocità della luce con il metodo dello specchio rotante. Infatti gli specchi dell’esperimento di Michelson non ruotavano affatto: veniva soltanto variato, volta per volta in ciascuna esperienza, l' orientamento delle due aste rispetto alla direzione della velocità orbitale Vt della Terra, con l'intento di evidenziare spostamenti delle frange d'interferenza.
Per quanto riguarda l’individuazione di uno specifico raggio di luce tra gli infiniti "raggi" emessi da una sorgente, si tratta semplicemente di un modo di dire abusato, privo di rigore scientifico.Infatti una sorgente luminosa emette con continuità onde elettromagnetiche visibili (onde luminose), che sono sferiche nel caso più comune di una sorgente priva di proiettore (lente o specchio parabolico) . Se invece una sorgente è munita di proiettore, le onde sferiche vengono convertite in onde piane che si propagano in linea retta costituendo un fascio collimato di cosiddetti “raggi luminosi”, che non sono altro che onde luminose piane (con fronti d’onda piani perpendicolari alla direzione di propagazione). Si pensi che anche se
si considera l'aspetto corpuscolare della radiazione luminosa, i singoli fotoni che compongono un fascio di luce, essendo particelle quantistiche identiche (bosoni), soggette al principio d'indeterminazione di Heisenberg che impedisce di determinarne con precisione assoluta le traiettorie, non sono individuabili.
In altri termini l'uso del termine "raggio luminoso" è comodo in ottica geometrica per progettare specchi, lenti e prismi e descriverne il funzionamento, in quanto semplifica l'applicazione dei principi dell'ottica, ma dal punto di vista fisico è impreciso. E' preferibile usare i termini "fascio luminoso" e "fascio laser", che meglio rendono conto della sezione finita (e non infinitesima) dei fronti d'onda piani della radiazione luminosa.
Un termometro clinico è costituito da un bulbo di vetro saldato ad un tubo capillare molto sottile attraverso una strozzatura, il cui scopo è quello di consentire la lettura della temperatura massima (termometro a massima).
Durante la misura della temperatura il mercurio dilatandosi oltrepassa agevolmente la strozzatura grazie alle notevoli forze che si sviluppano per effetto della dilatazione termica;viceversa, misurata la temperatura, durante la fase di contrazione termica, a causa della notevole tensione superficiale del mercurio (dovuta alle forze attrattive tra gli atomi del liquido), la colonnina rimasta nel capillare, non potendo superare la strozzatura per rientrare nel bulbo, si spezza consentendo in tal modo di leggere stabilmente la temperatura massima.
Per svuotare il capillare e riportare il mercurio nel bulbo al livello iniziale è necessario agitare
con energia il termometro con rapidi movimenti rotatori . Infatti così facendo la forza centrifuga agente sul mercurio supera la tensione superficiale, forzando il liquido rimasto nel capillare a rientrare nel bulbo attraverso la strozzatura.
Nell’ambito della teoria cinetica dei gas, la pressione esercitata dalle molecole di un gas si ottiene dall’espressione P = nmv2 = npv, dove m è la massa di una molecola, p = mv la quantità di moto ed n la concentrazione (molecole/unità di volume).
Nel caso degli elettroni valgono il principio di Pauli, che impedisce a due elettroni di occupare lo stesso stato quantico, ed il principio d’indeterminazione di Heisenberg
Dp Dx = h, che consente di calcolare la quantità di moto Dp = h/Dx.
Se si tiene conto che la radice cubica dell’inverso 1/n della concentrazione di elettroni (volume disponibile per ciascun elettrone) è uguale allo spostamento Dx, si
deduce che la quantità di moto di origine quantistica degli elettroni è direttamente proporzionale alla radice cubica della concentrazione:
Dp = h n(1/3).
Combinando questo risultato con l’espressione P = npv = n p2/m , si ottiene la pressione degli elettroni degeneri, così denominati perchè si tratta di una pressione quantistica che, a differenza di quella di un gas non degenere, non è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta (°K) (come accade per un gas perfetto contenuto in un recipiente), ma dipende dalla potenza (5/3) della concentrazione (densità ) elettronica:
P = n [h n(1/3)]2/m = h2 n (5/3)/m.
Questa espressione vale però per elettroni con velocità non relativistiche. Se invece la densità elettronica n è molto elevata, lo spazio a disposizione di ciascun elettrone è molto minore, con la conseguenza che, in base al principio d’indeterminazione, la quantità di moto p diventa così grande che la velocità v degli elettroni degeneri è molto vicina a quella della luce (c): P = npv = npc = n hc n (1/3) = hc n(4/3). Questo spiega la diminuzione della pressione di un gas elettronico degenere relativistico rispetto a quella di un gas elettronico degenere non relativistico:la pressione P cresce infatti in modo direttamente proporzionale alla minore potenza (4/3) della concentrazione elettronica, il che determina il collasso delle stelle di massa maggiore di 1,4 masse solari in stelle di neutroni.
In altri termini, se si considera l'espressione relativistica della quantità di moto p = m(v) v = mv/[sqr(1-v2/c2)], dove m è la massa a riposo ed m(v) = m/ [sqr(1-v2/c2)] è la massa di moto, si deduce, dopo aver sostituito al numeratore v con c (sostituzione ammissibile in prima approssimazione quando v è molto vicina a c), che la quantità di moto relativistica
cresce essenzialmente perchè con v cresce la massa di moto m(v).
Di conseguenza la pressione degli elettroni degeneri relativistici, invece di essere
proporzionale al quadrato della quantità di moto p, come si verifica nel caso non relativistico, cresce più lentamente, in modo direttamente proporzionale a p,
risultando minore della pressione (analoga a quella idrostatica) dovuta alla gravità.
Pertanto, se la massa è sufficientemente grande (almeno 1,4 masse solari), diventano molto grandi la concentrazione n e la velocità (prossima a c), senza che si verifichi un sensibile incremento di temperatura che controbilanci con l’espansione termica del gas la contrazione gravitazionale.
In queste condizioni i protoni catturano gli elettroni trasformandosi in neutroni e facendo così diminuire ulteriormente la pressione per la diminuzione del numero complessivo di particelle (protoni, neutroni ed elettroni) per unità di volume, e la gravità prevale definitivamente sulla pressione facendo collassare la stella.
Rinunciando ad esprimere valutazioni molto negative sui contenuti di alcuni libri di pseudodivulgazione scientifica, che vengono pubblicati soltanto perchè i loro autori riescono ad introdursi in salotti e cenacoli culturali molto “selettivi”, ai quali generalmente si accede per “meriti” che nulla hanno da spartire con la cultura scientifica e la didattica delle scienze, riprendo la trattazione del comportamento dei gas degeneri.
Un gas di fermioni (per esempio di elettroni, protoni, neutroni, quark) diventa degenere, pur obbedendo sempre al principio di Pauli (altrimenti eserciterebbe la sola pressione di natura quantistica determinata dal principio d'indeterminazione,come accade per i bosoni,senza il contributo repulsivo fermione-fermione dovuto al principio di Pauli) , quando la quantità di moto di origine quantistica Dp = h n(1/3),
crescente con la radice cubica della concentrazione fermionica n, diventa comparabile con la quantità di moto p = mv associata all’energia cinetica Ec = p2/(2m) = kT/2 derivante dall’agitazione termica del gas alla temperatura assoluta T (in °K), dove k = 1,38 x 10 -23 Joule/°K, è la costante di Boltzmann ed m è la massa fermionica
Si deduce pertanto che, se i fermioni , oltre ad essere molto “impacchettati” , fanno parte di un sistema con temperatura T molto bassa, possiedono una quantità di moto “termica” molto minore di quella quantistica, determinata dalla repulsione fermione-fermione dovuta al principio di Pauli e dal principio d’indeterminazione di Heisenberg.
In particolare, uguagliando la quantità di moto “termica” p = SQR(mkT) a quella “quantistica”
p = h n(1/3), si ottiene la temperatura assoluta Tc critica per cui un gas fermionico con concentrazione n comincia a diventare degenere:
SQR(mkTc) = h n(1/3) ;
mkTc = h2n(2/3);
T c = h2n(2/3)/(mk).
Pertanto, il gas fermionico è tanto più degenere quanto più è compresso e quanto più la sua temperatura assoluta è minore di Tc.
In altri termini,per T << Tc, la pressione di origine quantistica supera notevolmente quella dovuta all’agitazione termica; di conseguenza, la pressione del gas degenere è direttamente proporzionale alla concentrazione n (rispettivamente con la potenza 5/3 o con la potenza 4/3 a seconda che i fermioni si possano considerare non relativistici o relativistici), mentre la temperatura, i cui effetti sono trascurabili rispetto a quelli quantistici, non influisce.
Ecco perchè un gas degenere non segue la legge classica dei gas perfetti p = knT, secondo la quale la pressione è direttamente proporzionale sia alla concentrazione n che alla temperatura T.
Per quanto concerne il principio di Pauli, ad esso obbediscono senza eccezioni tutti i fermioni, cioè tutte le particelle con spin semidispari.
Per ricavare la configurazione elettronica degli atomi bisogna tenere presenti le seguenti definizioni e regole:
n è il numero quantico principale, che caratterizza uno strato elettronico(shell) ed assume i valori 1,2,3,4,5,6,7 , in ordine di energie crescenti.
l è il numero quantico orbitale, che caratterizza un substrato elettronico (subshell) ed assume, per ogni valore di n, i valori 0,1,2, ... n-1.
Adoperando la notazione spettroscopica si ha: l = 0 -> s; l =1 -> p; l =2 -> d; l =3 -> f; l = 4 -> g.
Per ogni valore di l si hanno 2l + 1 valori del numero quantico m, corrispondenti ad altrettanti orbitali: 0, + 1, + 2, .... +l , -1, -2, .... – l.
Pertanto, poichè un orbitale, per il principio di Pauli, può essere occupato da non più di 2 elettroni, purchè abbiano gli spin opposti (ms = +1/2 ed ms = –1/2) (due elettroni non possono avere gli stessi numeri quantici n,l,m, ms), ciascuna subshell può essere occupata al massimo da 2(2l + 1) elettroni (capacità di una subshell).
La seguente tabella riporta la successione dei numeri quantici in ordine di energie elettroniche crescenti.
Esempi:
L’ idrogeno (H) , avendo un solo elettrone, è caratterizzato dalla configurazione 1s.
Infatti si ha un solo orbitale 1s (n =1 ed l = 0).
L’ossigeno (O), avendo otto elettroni, è caratterizzato dalla configurazione:
1s2, 2s2, 2p4.
Infatti si considerano un orbitale 1s occupato da due elettroni con spin opposti, un orbitale 2s occupato da due elettroni con spin opposti ed una subshell p parzialmente occupata da 4 elettroni, due per ciascuno dei due orbitali p (n=2, l = 0,1).
Il sodio (Na), avendo 11 elettroni, è caratterizzato dalla configurazione: 1s2, 2s2, 2p6, 3s.
Infatti le subshell 1s, 2s e 2p sono complete, mentre
l’unico elettrone di valenza occupa un orbitale 3s.
Numeri quantici n,l | Subshell (notazione spettroscopica) | Capacità di una Subshell 2 (2l + 1) |
|
1,0 | 1s | 2 | |
2,0 | 2s | 2 | |
2,1 | 2p | 6 | |
3,0 | 3s | 2 | |
3,1 | 3p | 6 | |
4,0 | 4s | 2 | |
3,2 | 3d | 10 | |
4,1 | 4p | 6 | |
5,0 | 5s | 2 | |
4,2 | 4d | 10 | |
5,1 | 5p | 6 | |
6,0 | 6s | 2 | |
4,3 | 4f | 14 | |
5,2 | 5d | 10 | |
6,1 | 6p | 6 | |
7,0 | 7s | 2 | |
5,3 | 5f | 14 | |
6,2 | 6d | 10 |
L’equazione del circuito RL (differenziale lineare non omogenea) è la seguente:
L dI(t)/dt + RI(t) = Em sen (wt + f0), dove Em è il valore di picco (massimo) della tensione alternata sinusoidale E(t) con pulsazione w e costante di fase f
0.
La costante di fase dipende dal valore istantaneo che assume E(t) nell’istante
(t = 0) in cui il deviatore commuta da A a B. Se, per esempio, Em = 100 V ed E(t = 0) = 50 V,
f0 = arcsen (50/100) = arcsen 0,5 = 30°.
L’integrale generale (soluzione generale) dell’eq. diff. non omogenea si ottiene sommando alla soluzione sinusoidale (in regime permanente) (integrale particolare dell’eq. diff. non omogenea, cioè dell’equazione contenente il termine a destra )
Ip1 (t) = [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (wt + f0 - f1) l’integrale generale dell’eq. diff. omogenea (con il termine a destra nullo) : Io exp [-(R/L)t], che rappresenta il termine transitorio e nel quale Io è una costante pari al valore iniziale (per t = 0) dell’intensità di corrente.
Poichè nel caso del quesito proposto, all’istante t = 0 il circuito si trova in regime sinusoidale permanente, per trovare Io, valore iniziale di Ip1 (t) ,bisogna considerare il rapporto tra Em e l’impedenza Z = SQR(R12 + w2L2) e moltiplicare questo rapporto per il seno della differenza tra la costante di fase f0 della tensione E(t) e lo sfasamento f1 tra tensione e corrente, che è dato da:
f1 = arctang (wL/R1).
Pertanto per ottenere la formula del transitorio dopo la commutazione del deviatore, bisogna
sommare al termine sinusoidale Ip2 (t) = [Em/SQR(R22 + w2L2)] sen (wt + f0 - f2), che rappresenta il nuovo regime sinusoidale permanente e nel quale f2 è il nuovo sfasamento tra tensione e corrente, dato da
f2 = arctang (wL/R2), il termine transitorio Itr(t) = [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1)exp [-(R2/L)t] + C.
Per ottenere l’espressione completa del transitorio bisogna determinare la costante d’integrazione C in modo tale che I(0) risulti uguale al valore iniziale [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1).
I(t) = Ip2 (t) + Itr(t) + C = [Em/SQR(R22 + w2L2)] sen (wt + f0 - f2) + [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1)exp[-(R2/L)t] + C.
Pertanto C = I(0) - Ip2 (0) - Itr(0) = [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1) - [Em/SQR(R22 + w2L2)] sen (f0 - f2) -
[Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1) =
- [Em/SQR(R22 + w2L2)] sen (f0 - f2).
Pertanto la soluzione completa è la seguente:
I(t) = [Em/SQR(R12 + w2L2)] sen (f0 - f1)exp[-(R2/L)t] + [Em/SQR(R22 + w2L2)] [sen (wt + f0 - f2) – sen (f0 - f2)].
Come caso particolare bisogna notare che, se f0 = f1, il transitorio non esiste e che invece, se (f0 - f1 = 90°, esso assume il massimo valore, e si annulla dopo un intervallo di tempo pari a circa 5 volte la costante di tempo L/R2.
Pertanto la formula del transitorio relativo a correnti continue non può essere utilizzata, in quanto il regime permanente è sinusoidale.
1) Nel caso di una stufa catalitica l’emissione luminosa bluastra non fa parte dello spettro termico
continuo (spettro di corpo nero) emesso pannello radiante ma dello spettro di emissione discreto (a righe) degli atomi dei gas che costituiscono la fiamma, che eccitati termicamente dalle elevate temperature che si sviluppano durante la combustione, emettono fotoni.
2) Man mano che la temperatura aumenta, il pannello radiante tende a portarsi dal calor rosso
al calor bianco ed il massimo di intensità del suo spettro continuo si sposta progressivamente verso
le lunghezze d’onda minori, ma sempre appartenenti all’infrarosso. Soltanto una minima parte della
potenza termica viene emessa sotto forma di radiazione visibile [con lunghezze d’onda comprese
tra 800 nm (rosso) e 400 nm (violetto)]. La sovrapposizione di tutte queste radiazioni visibili (di intensità molto minore di quella corrispondente al massimo), dal rosso al giallo, al verde, al blu-violetto, rivelate dagli occhi ed elaborate dal cervello, genera in noi la sensazione della luce bianca.
3) In altri termini, il verde ed il blu, pur essendo presenti nello spettro termico continuo, contribuiscono ad una minima quota della potenza radiante totale, in quanto le loro lunghezze d’onda si trovano nella zona rapidamente decrescente della curva a campana di Planck (nettamente in contrasto con quella di Rayleigh-Jeans, rapidamente crescente per piccole lunghezze d’onda), prima del massimo d’intensità, che cade sempre nell’infrarosso alle temperature tipiche dei corpi incandescenti. Infatti, per T = 2900 °K, la legge dello spostamento di Wien l T = 0,29 cm x K° fornisce il valore lmax = 1000 nm (regione infrarossa).
La netta prevalenza del verde (550 nm) e del blu-violetto (400 nm) (come colori per cui si ottiene il massimo di emissione) può aver luogo soltanto quando la temperatura raggiunge valori pari
rispettivamente a 5250 °K ed a 7250 °K (spettri stellari).
4) Il bianco appare tale ai nostri occhi in quanto risulta dalla sovrapposizione degli effetti delle sole radiazioni visibili, escludendo pertanto tutte quelle estranee all’intervallo 400 nm .. 800 nm, che sono invisibili. Da notare tuttavia che le radiazioni ultraviolette, pur essendo invisibili, vengono assorbite dagli occhi danneggiando gravemente la retina se sono molto penetranti (molto dure, cioè con lunghezze d’onda molto piccole).
Rispondendo all’ultimo quesito, faccio presente che, mentre per quanto riguarda lo spettro continuo
valgono le leggi di Planck e dello spostamento del massimo di emissione (legge di Wien), che descrivono la dipendenza delle caratteristiche fisiche della radiazione termica dalla temperatura,
per quanto concerne gli spettri atomici (a righe), quando aumenta la temperatura T (in °K), aumentano l’energia cinetica media Ec e la velocità media v degli atomi (per effetto dell’agitazione termica): Ec = (1/2) mv2 = (3/2) k T .
Aumenta così la probabilità (secondo la statistica quantistica di Fermi-Dirac) di eccitazione degli elettroni degli orbitali più esterni per effetto delle continue collisioni tra gli atomi, tanto più frequenti quanto maggiore è la temperatura.
E’ pertanto possibile calcolare la probabilità che un elettrone appartenente ad un orbitale esterno (poco legato) riceva in uno dei tantissimi urti interatomici, che avvengono con energie distribuite
statisticamente intorno all’energia cinetica media Ec degli atomi, un’energia proprio uguale al salto energetico tra due livelli atomici (discreti) relativi ad orbitali esterni . In tal modo un elettrone effettua una transizione da uno stato quantico con energia E1 ad un altro stato quantico , non occupato, con energia E2, maggiore di E1. Successivamente, ritornando allo stato quantico iniziale o ad uno stato quantico con energia intermedia tra E1 ed E2, purchè non occupati, emette un fotone con energia pari alla differenza tra i livelli energetici iniziale e finale. I meccanismi di emissione e di dipendenza della lunghezza d’onda della radiazione luminosa dalla temperatura sono evidentemente molto diversi nel caso dello spettro continuo e nel caso dello spettro discreto.
Per quanto riguarda il colore della radiazione termica emessa da un corpo, bisogna anzitutto precisare che si parla di incandescenza soltanto quando l’occhio vede il bianco e non un colore prevalente (verde, rosso ,ecc...). Non si può parlare di corpo “incandescente verde”. Sarebbe un’espressione contraddittoria, anche etimologicamente, considerata la radice del termine incandescente (che diventa bianco).
Esempio: Se consideriamo lo spettro solare, il massimo di emissione si verifica intorno
ai 500 nm (luce gialla), essendo T intorno a 5800 °K. Tuttavia, nello spettro continuo
della luce solare sono presenti contemporaneamente tutte le altre lunghezze d'onda, dall'ultravioletto, al visibile, all'infrarosso lontano, sia pure con intensità molto diverse, in base alla curva di Planck. In altri termini, l'occhio vede il Sole come un corpo quasi incandescente, grazie allo sovrapposizione delle emissioni relative a tutte le lunghezze d'onda della parte visibile dello spettro,anche se prevale su tutte le altre l'intensità della componente giallastra, come dimostra l'esame della luce solare allo spettrofotometro.
Bisogna inoltre tenere presente che l’occhio, quando percepisce il bianco, è caratterizzato da una sensibilità cromatica che è massima per il giallo-verde (550 nm), medio bassa per il rosso (750 nm) e minima per il blu-violetto (400 nm). Occorrono pertanto flussi fotonici molto più intensi per generare attraverso la retina segnali bioelettrici di ampiezza comparabile con quella generata dalla radiazione giallo-verde. In altri termini, quando si considera la radiazione visibile generata da un corpo incandescente (per. esempio il filamento di tungsteno di una lampadina), bisogna tenere presente che, dal punto di vista fisiologico, l’occhio, quando vede il bianco, risponde con sensibilità diversa , a seconda della lunghezza d’onda, solo ad una minima parte della radiazione termica irradiata dal corpo, e precisamente soltanto a quella distribuita in tutte le lunghezze d’onda da 400 nm a 800 nm secondo la legge di Planck. Ogni altra considerazione estranea alla legge di Planck non è fisicamente oggettiva, in quanto concerne non più la fisica dell’irraggiamento, ma la fisiologia dell’occhio e quindi la soggettività della visione dei colori e la loro decodificazione da parte del cervello.Infatti i colori esistono soltanto perchè le varie lunghezze d’onda determinano sensazioni visive diverse. E’ il nostro cervello che li vede. In sostanza, dal punto di vista fisico, quindi senza alcun riferimento alle impressioni visive determinate nell’uomo o negli animali, le radiazioni luminose sono come tutte le altre radiazioni
dello spettro elettromagnetico (che si estende dalle onde radio ai raggi gamma), e sono caratterizzate unicamente dalla frequenza e dalla lunghezza d’onda, che è un parametro misurabile mediante gli spettroscopi a prisma ed a reticolo di diffrazione. Il fatto che esse suscitino in noi senzazioni cromatiche particolari a seconda della lunghezza d’onda non interessa più la fisica.
In laboratorio una misura oggettiva della loro intensità si può effettuare con dispositivi fotoelettrici (fotodiodi, fototransistor, fotomoltiplicatori) atti a rivelare il flusso fotonico associato ad un fascio di luce bianca o monocromatica.
L’equazione del circuito RC (differenziale lineare non omogenea) è la seguente:
V(t) + RI(t) = V(t) + RdQ(t)/dt = V(t) + RCdV(t)/dt = Em sen (wt + f0), dove Em è il valore di picco (massimo) della tensione alternata sinusoidale E(t) con pulsazione w e costante di fase f0.
La costante di fase dipende dal valore istantaneo che assume E(t) nell’istante (t = 0) in cui il deviatore commuta da A a B. Se, per esempio, Em = 100 V ed E(t = 0) = 50 V, f0 = arcsen (50/100) = arcsen 0,5 = 30°.
Per t minore di 0, l’integrale particolare dell’equazione differenziale non omogenea è:
Ip1 (t) = [Em/SQR(R12 + 1/(wC)2)] sen (wt + f0 - f1), dove
lo sfasamento f1 tra tensione e corrente, è dato da:f1 = arctang [-1/(wR1C)].
Per ottenere la tensione Vp1 (t) bisogna calcolare l’integrale del prodotto di Ip1 (t) per (1/C):
Vp1 (t) = - {Em/[wC SQR(R12 + 1/(wC)2)]} cos (wt + f0 - f1).
Tenendo presente che la tensione iniziale è Vp1 (0) = - {Em/[wC SQR(R12 + 1/(wC)2)]} cos (f0 - f1), si
ottiene il termine transitorio Vtr(t) = Vp1 (0) exp [-t/R2C)] per t maggiore di 0.
Pertanto, per t maggiore di 0, il transitorio di V(t) si ottiene sommando a Vtr(t) il termine Vp2 (t), che rappresenta il regime permanente relativo al resistore R2:
V(t) = Vtr(t) + Vp2(t) + costante = - {Em/[wC SQR(R12 + 1/(wC)2)]} cos (f0 - f1) exp [-t/R2C)]
- {Em/[wC SQR(R22 + 1/(wC)2)]} cos (wt + f0 - f2) + costante.
La costante d’integrazione è tale da rendere V(0) = Vp1(0) ed è pari a
V(0) – Vp2(0) – Vtr(0) = Vp1(0) – Vp2(0) – Vtr(0) =
{Em/[wC SQR(R22 + 1/(wC)2)]} cos (f0 - f2), dove f2 = arctang [-1/(wR2C)] è lo sfasamento tra V(t) ed I(t) per t maggiore di 0.
Pertanto, per t maggiore di 0, l’espressione V(t) é la seguente:
V(t) = = - {Em/[wC SQR(R12 + 1/(wC)2)]} cos (f0 - f1) exp [-t/R2C)]
- {Em/[wC SQR(R22 + 1/(wC)2)]} [cos (wt + f0 - f2) - cos (f0 - f2)].
L’espressione di I(t), per t maggiore di 0 , è la seguente:
I(t) = dQ(t)/dt = CdV(t)/dt = C{Em/[wC SQR(R12 + 1/(wC)2)]} cos (f0 - f1) exp [-t/R2C)]/(R2C) } + {wCEm/[wC SQR(R22 + 1/(wC)2)] [sen (wt + f0 - f2)]}.
Sia i maser che i laser funzionano in base al principio dell’emissione stimolata di radiazione, stabilito da A. Einstein nel 1917.
In particolare, i dispositivi MASER e LASER , i cui acronimi significano rispettivamente Microwave (non molecular) Amplification by Stimulated Emission of Radiation e Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, emettono un fascio di radiazione coerente (costituito da onde che si propagano in fase tra loro) quando gli atomi di un gas, che normalmente si trovano nello stato di energia minima (stato fondamentale), vengono “pompati” mediante una radiazione di lunghezza d’onda opportuna in uno stato eccitato metastabile (o quasi stabile), caratterizzato da una vita notevolmente più lunga di quella che caratterizza un comune stato eccitato. Per effetto della radiazione di “pompaggio” si realizza un’inversione di popolazione
tra i due stati, per cui, se il flusso dei fotoni di “pompaggio” è sufficientemente elevato, il numero
degli atomi che si trovano nello stato metastabile supera notevolmente il numero di quelli che si trovano nello stato fondamentale. Si determina così una situazione di instabilità nel sistema, che
non essendo in equilibrio termodinamico con la radiazione, tende a liberarsi dell’energia in eccesso
dando luogo ad un gran numero di eventi di emissione stimolata, tali che , per ogni fotone
emesso spontaneamente nella transizione dallo stato metastabile ad uno stato quantico intermedio (libero) con energia maggiore di quella dello stato fondamentale, ne venga emesso un altro in fase con il primo. Successivamente, ciascuno di questi primi due fotoni emessi, “rimbalzando” sulle pareti riflettenti della cavità risonante del dispositivo, causa l’emissione di altri due fotoni in fase, che a loro volta “rimbalzano”, e così via, dando luogo ad un aumento a valanga (con legge esponenziale) dell’intensità della radiazione iniziale.
I fotoni emessi spontaneamente non perdono la loro energia negli “urti” con gli elettroni, ma ne perturbano lo stato quantico iniziale
(stato metastabile) stimolandoli a passare nello stato intermedio.
Da notare che il salto energetico prodotto dai fotoni di “pompaggio” (con lunghezza d’onda minore) è sempre maggiore di quello relativo al salto tra lo stato metastabile e quello intermedio.
Infatti, una certa quota dell’energia di pompaggio viene assorbita dal sistema (solido, liquido o gassoso) trasformandosi in calore.
Per esempio, nel classico laser a rubino, la rdiazione di pompaggio è generata nel blu-violetto da una lampada allo Xenon avvolta a spirale attorno ad un cristallo di rubino di forma cilindrica, che emette un fascio laser rosso.
Il principio di funzionamento dei maser e dei laser è estensibile a sistemi quantici di tipi diversi, costituiti sia da elettroni relativistici interagenti con campi magnetici (laser ad elettroni liberi), sia da plasmi (gas ionizzati) interagenti con impulsi laser di alta energia (laser a raggi UV ed a raggi X), anche se la coerenza della radiazione emessa, invece di essere ottenuta mediante l’emissione stimolata (fenomeno tipicamente atomico), viene ottenuta con metodi fisicamente diversi (per es. con l’ inversione alternata del campo magnetico nei laser ad elettroni liberi) . Con meccanismi analoghi si spiegano le emissioni coerenti (effetto sincrotrone) che si osservano nelle atmosfere stellari nella banda delle radioonde, per effetto degli intensissimi campi magnetici ivi presenti.
L’ unidirezionalità dell’emissione dei fotoni dipende dalle caratteristiche geometriche e fisiche della cavità risonante nella quale avviene l’amplificazione della radiazione. Infatti, poichè nei laser solo una parete è totalmente riflettente, i fotoni , riflettendosi più volte avanti e indietro, sono costretti ad uscire attraverso la parete semiriflettente.
In un tubo a raggi catodici gli elettroni vengono prodotti in due modi:
1) Per bombardamento del metallo che costituisce il catodo (elettrodo negativo) da parte degli
ioni positivi, sempre presenti in un gas a causa delle radiazioni ionizzanti naturali (raggi ultravioletti solari, raggi gamma emessi dai nuclei radioattivi della crosta terrestre e raggi cosmici). Infatti, anche se inizialmente nel gas rarefatto sono presenti pochi ioni (atomi o molecole con
una o più cariche elettriche elementari, positive o negative) , quelli positivi, accelerati dall’intenso campo elettrico prodotto dall’alta tensione continua (alcune decine di migliaia di volt) applicata tra l’anodo (elettrodo positivo) ed il catodo, bombardano il metallo catodico (generalmente tungsteno)
estraendo da esso elettroni.
2) A loro volta gli elettroni prodotti per urto ed accelerati dal campo elettrico in senso opposto rispetto agli ioni positivi, bombardano molecole o atomi neutri del gas generando per urto altri ioni positivi ed altri elettroni (secondari) che incrementano progressivamente l’intensità di corrente associata alla scarica gassosa.
Pertanto si verifica un rapido incremento di corrente (a valanga) sia a causa dei nuovi ioni positivi che bombardano il catodo, sia a causa dei nuovi elettroni strappati agli atomi nel processo di ionizzazione.
In particolare, se il gas (per es. ossigeno) ha un’elevata affinità elettronica, cioè una notevole capacità di catturare elettroni, si formano anche ioni negativi che vengono accelerati verso l’anodo urtando sia gli ioni positivi che si muovono verso il catodo ( con la produzione di molecole ed atomi neutri), sia altre molecole o atomi neutri del gas ed incrementando ancora l’intensità di corrente con altri ioni di entrambi i segni ed elettroni.
Se invece il gas non ha un’elevata affinità elettronica (per es. azoto), si formano soltanto ioni positivi, primari e secondari, che vengono accelerati verso il catodo bombardandolo e generando così altri elettroni.
Anche in questo caso all’intensità di corrente contribuiscono gli elettroni e gli ioni secondari che si generano quando le molecole o gli atomi neutri del gas vengono urtati dagli elettroni primari (estratti dal catodo) e dagli ioni primari presenti inizialmente nel gas.
Quando il numero di atomi per unità di volume è molto elevato, il cammino libero medio
Dl = vDt di un atomo e l’intervallo di tempo Dt tra due urti consecutivi sono molto piccoli,il che comporta, per il principio d’indeterminazione di Heisenberg DE Dt = h , una notevole indeterminazione DE nella
misura dell’energia E = hn= hc/l dei fotoni
emessi durante le transizioni elettroniche associate all’effetto maser. Se diminuisce l’intervallo tra due urti atomici consecutivi, l’indeterminazione (errore) su E aumenta in modo inversamente proporzionale ad esso.
E se l’errore DE è grande, è grande anche l’errore Dl associato alle lunghezze d’onda emesse dagli atomi; pertanto la radiazione maser emessa dal sistema quantico perde rapidamente le caratteristiche di coerenza spazio-temporale necessarie al verificarsi dell’emissione stimolata, in quanto l’energia radiante, invece di concentrarsi in una riga spettrale molto stretta (con pochissime lunghezze d’onda) ,si disperde in un grande intervallo di lunghezze d’onda, impedendo la risonanza del sistema. E’ un fenomeno analogo a quello che osserveremmo in un radioricevitore correttamente sintonizzato (in risonanza) sulla lunghezza d’onda desiderata , se aumentassimo bruscamente le perdite resistive del circuito risonante (bobina con elevate perdite resistive e condensatore di sintonia): la curva di risonanza (curva a campana) si allargherebbe a tal punto da comprendere un elevato numero di lunghezze d’onda, il che implicherebbe la ricezione simultanea di più segnali radio (di emittenti diverse), la perdita di sintonia e l’inutilizzazbilità dell’apparecchio. Pertanto, affinchè si verifichi l’effetto maser, la radiazione elettromagnetica deve essere emessa in un intervallo ristrettissimo (riga con larghezza spettrale minima) , al limite tendente a zero, di lunghezze d’onda centrate intorno alla lunghezza d’onda caratteristica (teorica) della transizione maser che si considera.E questa condizione basilare si verifica soltanto con basse densità.
L’intensità relativa delle righe spettrali è determinabile in base alla potenza dei relativi segnali
radio,rivelati e registrati dal sistema di acquisizione dati di un radiotelescopio (terrestre o spaziale).
Per calcolare l’intensità di una riga rispetto ad un’altra basta infatti considerare il rapporto delle relative potenze (per es. in picowatt).
La risoluzione di un telescopio è limitata dai fenomeni di diffrazione. Infatti le onde luminose
provenienti da un astro, propagandosi attraverso l’obiettivo subiscono la diffrazione producendo delle frange alternativamente luminose ed oscure che sono tanto più ravvicinate quanto minore è il rapporto tra la lunghezza d’onda l ed il diametro d della lente.
Per esempio, se si considera un telescopio con una lente di diametro d = 5 m, la risoluzione angolare dello strumento, cioè il minimo angolo apprezzabile tra le linee di vista di due punti luminosi di un corpo celeste, per la lunghezza d’onda di 550 nm, è pari a:
a = 1,22l/d = 1,22 x 550 x 10 -9/5 = 1,342 x 10-7 radianti = 1,342 x 10-7 x 57,29 x 3600 =
2,76 x 10-2 secondi d’arco.
Se si considera invece un radiotelescopio con un’antenna parabolica dello stesso diametro ed
operante alla frequenza di 1 GHz, essendo la lunghezza d’onda pari a 30 cm, la risoluzione
peggiora di un fattore pari a 543400.
Infatti si ha : a = 1,22l/d = 1,22 x 30 x 10 -2/5 = 7,32 x 10-2 radianti = 7,32 x 10-2 x 57,29 x 3600 =
1,5 x 104 secondi d’arco. Si deduce che,per ottenere la stessa risoluzione di 2,76
centesimi di secondo d’arco, bisognerebbe disporre di un’antenna parabolica con un diametro
543400 volte maggiore, pari a circa 2717 km. Questo spiega perchè per ottenere buone risoluzioni
sia necessario ricorrere ad array di radiotelescopi interferometrici, che basandosi sul principio
dell’interferometro di Michelson e Morley , sono caratterizzati da una risoluzione che dipende
essenzialmente dal rapporto tra la lunghezza d’onda e la distanza tra due antenne contigue e
non dal loro diametro. Con questo sistema sono stati realizzati sistemi globali di radiotelescopi VLBI (Very Long Baseline Interferometry) che utilizzando parecchi radiotelescopi distanti fino
a 12000 km, captano i segnali radio emessi da un oggetto cosmico con notevoli differenze di fase dovute ai ritardi associati ai differenti percorsi, li registrano e li inviano ad un sistema di elaborazione centrale, che tenendo conto delle differenze di fase e delle relative frange
d’ interferenza generate, ricostruisce con la tecnica dei falsi colori l’immagine della radiosorgente.
L’influenza dell’atmosfera si manifesta con una distorsione d’ ampiezza e di fase dei segnali radio
a causa dell’assorbimento dovuto al vapore acqueo, all’ossigeno ed all’ozono.
Da notare che, poichè i radiotelescopi si trovano in punti molto distanti, l’assorbimento atmosferico dipende anche dalle diverse condizioni meteorologiche locali al momento dell’osservazione. Pertanto il sistema di elaborazione deve introdurre opportuni parametri di correzione nell’analizzare la correlazione spazio-temporale tra i diversi segnali ricevuti.
1)Per giungere alla formula della densità di energia magnetica, si può considerare l’intensità
H = 4pNI/L (legge di concatenazione di Ampere) del campo magnetico (in unità del sistema C.G.S. elettromagnetico) generato da un solenoide costituito da un tubo di materiale isolante chiuso ad anello (toroide), di raggio R e lunghezza L = 2pR, sul quale siano state avvolte N spire di sezione S percorse da una corrente di intensità I.
L’induzione magnetica causata da H è B = mH = 4pmNI/L , ed è direttamente proporzionale all’intensità H del campo magnetico ed alla permeabilità magnetica m
del materiale ferromagnetico (ferro, acciaio, cobalto, nichel, ferrite), che esprime quante volte
il campo magnetico prodotto dalla sola corrente viene intensificato dalla magnetizzazione del
materiale (allineamento degli spin elettronici nella direzione e verso del campo H).
Tenendo conto che l’energia magnetica W immagazzinata nel campo magnetico del solenoide si può calcolare attraverso l’integrale in dI del flusso magnetico
F(B) = NBS = 4pmN2IS/L concatenato con le N spire, si ottiene:
W = 4pmN2I2S/(2L).
Infine, esprimendo I in funzione dell’intensità del campo magnetico H e dei parametri del solenoide, si ha: I = HL/(4 pN).
Pertanto W = 4pmN2[ HL/(4 pN)]2S/(2L) = mH2(SL)/(8p) =
BHV/(8p), dove V = SL è il volume del solenoide.
Pertanto la densità di energia magnetica , rapporto tra W e V, è BH/(8p).
2) Non bisogna ricorrere alla trigonometria per comprendere la relazione tra la lunghezza L di un
arco di circonferenza ed il relativo angolo a (in radianti).
Se si tiene presente la proporzione C : 2p = L : a, dove C = 2pR è la lunghezza della circonferenza di raggio R alla quale appartiene l’arco, si ricava l’espressione L = 2pR a/(2p) = Ra. Nel caso degli oggetti celesti, essendo la distanza R grandissima, l’arco
di circonferenza L corrispondente all’angolo di vista a dell’astro, tende
a confondersi con la corda sottesa dall’arco. E poichè la corda è uguale al diametro D dell’astro, per
calcolare D basta moltiplicare la distanza R per l’angolo a in radianti.
Se, per esempio, R = 1 a. l. (luce) (circa 9,4 trilioni di km = 9,4 x 1012 km) ed
a = 2 x 10-3’’ = (2x 10-3/3600)° = (2x10-3/3600) p/180 = 9,69 x 10-9 radianti, D = Ra = 9,4 x 1012x 9,69 x 10-9 = 91086 km.
Se si considera un filamento di platino avvolto a spirale in modo tale da formare un solenoide rettilineo molto lungo rispetto al raggio R1 delle spire e si applica ad esso una una potenza elettrica P = VI, il riscaldamento dovuto all’effetto Joule dà luogo nell’aria a moti convettivi che determinano un flusso termico (in calorie /s) calcolabile mediante la legge di convezione di Newton:
F = b (Tf – To) , dove b è un coefficiente determinabile sperimentalmente, Tf è la temperatura (in °C) raggiunta dal filamento nella condizione di equilibrio termico e To è la temperatura ambiente. Pertanto, uguagliando la potenza termica a quella elettrica, si ha:
P = VI = b (T – To);
La temperatura del filamento è data da:Tf= (P + b To)/b.
Per determinare l’espressione del gradiente termico grad T = dT/dR, nell’applicare la legge di conduzione del calore (di Fourier) J = - K grad T , che esprime la densità di corrente termica in funzione della conducibilità termica K e del gradiente di T, bisogna considerare la simmetria cilindrica del sistema.
In particolare, considerando uno strato cilindrico di lunghezza pari a quella del filamento e di spessore dR, compreso tra R ed R + dR ed avente per asse quello del solenoide, bisogna esprimere
che la diminuzione dQ/dt della quantità di calore dQ nello strato cilindrico considerato, nell’intervallo di tempo elementare dt, è uguale al flusso termico, cambiato di segno,del vettore J (densità di flusso termico) uscente dal volume dV = 2pRLdR: dQ/dt = - div JdV = - (div J) 2pRLdR = K div grad T (2pRLdR).
Considerando la densità r, la conducibilità termica K ed il calore specifico c del fluido in cui è immerso il filamento, si ha:
dQ/dt = dm c dT/dt = rdV c dT/dt = r (2pRLdR) c dT/dt = K div grad T (2pRLdR).
Infine si ottiene: rc dT/dt = K div grad T = K DT, dove
DT = d2T/dx2 + d2T/dy2 + d2T/dz2 è l’operatore di Laplace.
Pertanto, esprimendo l’operatore di Laplace in coordinate cilindriche (R, f,z ), si ottiene l’equazione differenziale della propagazione del calore:
d2T/dR2 + (1/R) dT/dR + (1/R2) d2T/df2 + d2T/dz2 = (rc/K) dT/dt.
Questa equazione, in condizioni di stazionarietà (T indipendente dal tempo t) e tenendo conto che per la simmetria del sistema (z è l’asse del filamento), T dipende soltanto da R, si ha: d2T/dt2 + (1/R) dT/dR = 0, il cui integrale generale è T = k1 log R + k2,
dove k1 e k2 sono due costanti che dipendono dalla temperatura del filamento Tf, dalla temperatura ambiente To e dal raggio R1 del filamento.
In particolare, essendo T = Tf per R = R1 e conoscendo T = T2 per R = R2 , si ricavano i valori di k1 e k2 dal sistema:
Tf = k1 log R1 + k2;
T2 = k1 log R2 + k2.
Il gradiente termico è dato da: dT/dR = k1/R ed assume il massimo valore per R = R1.